Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco: tra sindrome di CSI e analfabetismo di ritorno

Qualche giorno fa, sul sito di Giustizia Giusta, mi è capitato di leggere un interessante articolo dell’Avv.Mauro Mellini, emblematicamente intitolato “l’umanità ha bisogno del diavolo”.
L’articolo in questione non era collegato in alcun modo a Massimo Bossetti, e si riferiva anzi in buona parte alla politica, ma le sue conclusioni, neutre e valevoli anche per il cittadino comune, meritano di essere riportate pari pari:
“[…] C’è un vuoto incolmabile. E’ quello del “nemico” da distruggere, da esorcizzare, da considerare l’antagonista, l’altro, quello da mandare sul rogo, da sperare che incappi in qualche malanno.

In fondo si sente la mancanza di “quelli dell’altra parte”. Siamo pur sempre il Paese dei Guelfi e dei Ghibellini.

La speculazione della finanza europea e mondiale è abbastanza priva di contorni netti per poterne parlare e dirne di tutto e di più. Ma non è un nemico da poter mettere alla gogna. E’ abbastanza vaga da poter essere temuta, sentita come incombente, ma non c’è possibilità di immaginarne il rogo, la gogna. Non ci sono, malgrado qualche sforzo fatto per cercarne i diabolici affiliati tra noi, possibilità di soddisfare la voglia di nemico.

Che cosa sarebbe la “squadra del cuore” se non ci fossero “quelli fiji de’ mignotta” di un’altra squadra, di un altro colore?

C’è una dimensione ottimale anche per il demonio: deve essere a portata di mano del suo contrario.”

Chiunque abbia avuto modo di leggere l’interessante saggio di Umberto Eco “Costruire il Nemico”, non avrà alcuna difficoltà ad inquadrare le parole del Dott. Mellini.

Mentre scrivo questo articolo, il Sig. Massimo Bossetti è in carcere in isolamento da ormai un mese: un mese nel quale è stata compiuta una feroce campagna mediatica colpevolista nei suoi confronti, una campagna mediatica nella quale, al di là di pochissime gradite eccezioni spesso prontamente messe a tacere nei saloni televisivi, ha suonato una sola campana, ancorché spesso piuttosto stonata.

Il sistema dei media nelle società attuali è innegabilmente di enorme importanza nella costruzione sociale della realtà e nel determinare l’idea che le masse hanno del mondo e di se stesse.
I media, tuttavia, per necessità di spazi, devono necessariamente attuare un’operazione di selezione e di sintesi.

In questo processo di scrematura, essi ritagliano da tutta una serie di immagini e avvenimenti alcune loro parti, proponendo, in questo modo, una rappresentazione della realtà che non è la realtà stessa, ed attraverso la selezione delle notizie ed il ricorso a tecniche narrativo-retoriche che amplificano (o minimizzano) determinate notizie, si rivelano importanti veicoli nel trasmettere immagini, stereotipi, opinioni e pregiudizi.

Diffondendo certi tipi di messaggi a scapito di altri, i media influiscono in modo rilevante sulla percezione degli eventi, soprattutto quelli non immediatamente verificabili dai singoli individui, e propongono una visione del mondo per forza di cose parziale e spesso, conseguentemente, distorta.

Mi è stato segnalato ieri, sul sito Archivio Penale, un interessante dossier della Prof. Paola Felicioni, docente di diritto processuale penale nella facoltà di giurisprudenza dell’università degli studi di Firenze, che nella sua carriera si è occupata a più riprese del valore della prova scientifica nel processo penale.

Il dossier al quale specificamente mi riferisco, emblematicamente intitolato “La prova del DNA tra esaltazione mediatica e realtà applicativa”, è estremamente utile anche per inquadrare, oltre i limiti del DNA, anche la distorsione che viene puntualmente operata dai media.

Oltre alle problematiche di stampo tecnico-scientifico, il dossier in questione mette infatti in luce anche le distorsioni massmediatiche, in termini che sembrano descrivere perfettamente quanto sta accadendo da un mese a questa parte.

Come avevo già detto in un precedente articolo, di recente sull’Espresso è stato pubblicato un robusto editoriale del Dott. Giancarlo De Cataldo, giudice della Corte d’Assise di Roma, che con la problematica relativa al DNA nel processo penale si è “scontrato” personalmente in relazione all’omicidio di Via Poma.

“Il DNA non è Vangelo”, ha giustamente sostenuto De Cataldo.
La notizia, ovviamente, ha fatto il giro del mondo della carta stampata ed io, costantemente vigile, ho fatto altrettanto.

Sulla testata Bergamonews, in particolare, tra i commenti in calce all’articolo, ho trovato delle reazioni che definire aberranti è poco: schiere di colpevolisti, che probabilmente fino al giorno prima non avevano idea neanche di cosa fosse il DNA, pronti a dar contro al Dott. De Cataldo, ovviamente senza opporre alcuna argomentazione valida, ma accusandolo vilmente di essere “in cerca di notorietà”, come se un giudice nonché scrittore del suo calibro ne avesse bisogno.

E’ incredibile notare come nessuno di questi fedeli alla “gaia scienza” abbia ritenuto di tener conto, ad esempio, delle parole della Dott.ssa Baldi, genetista di chiara fama, che come avevo evidenziato in un precedente articolo, ha affermato con grande correttezza professionale che nel caso di un’unica traccia di DNA il trasporto attraverso l’arma del delitto è scientificamente possibile, e ancora nessuno che abbia avuto l’accortezza di notare come, sebbene la scienza in sé non sbagli, gli uomini siano notoriamente fallibili.

Dinnanzi a queste novelle schiere di autoproclamatisi genetisti, che nel nome della scienza sfidano in realtà ogni metodo scientifico, che presuppone dubbio, curiosità e vaglio di più ipotesi, non fideistica adesione ad una tesi, non posso che gettare la spugna e trovare una sola spiegazione plausibile, ossia quella data dalla Prof. Felicioni nel suo pregevole dossier:

“E’ evidente l’effetto negativo del fenomeno: la fascinazione prodotta 
dal tema evocativo della prova del DNA, potenziata dalla sovraesposizione 
mediatica dei processi penali, ottunde il senso critico dello spettatore che, instupidito dall’effetto CSI, si schiera nell’ideologia di massa a favore o contro l’accusato: si abbatte il giudizio individuale”.

Il rischio più evidente di una situazione simile è che a quello che personalmente chiamo “analfabetismo di ritorno” della folla inferocita segua come spiacevole corollario un’influenza indebita sul processo.

Infatti, sottolinea ancora la Prof. Felicioni nel suo dossier che:

“In linea di principio ciò che avviene fuori delle aule di giustizia è una 
sorta di patologia che non dovrebbe minimamente sfiorare il giudice, né gli
altri soggetti della vicenda processuale.
Tuttavia è innegabile che la fiducia nella giustizia da parte della società si fonda anche sulla percezione che della prima hanno gli uomini: su tale percezione incide la qualità dell’informazione sul processo penale.”

Non dovremmo dimenticare, presi come siamo dalla nostra “gaia scienza” di essere di fronte ad un uomo che si proclama innocente e che da un mese è invece sottoposto a custodia cautelare in carcere, una misura che qualcuno ha contestato definendola già “anticipatrice della sentenza”.

Leggo, ad esempio, dalle pagine del Garantista (http://ilgarantista.it/2014/06/22/riforma-della-giustizia-subito-il-caso-yara-insegna/):

“Anche questo dovevamo vedere: un pubblico ministero, parte d’accusa, che, pur forte delle sue scoperte e delle sue certezze, invita a non esprimere giudizi avventati, e un giudice terzo, un Gip, che bolla l’imputato, giuridicamente presunto non colpevole, come persona dotata di “tale ferocia” da rendere “estremamente probabile la reiterazione di reati della stessa indole”. Così inserendo nell’ordinanza con cui dispone la custodia cautelare per Giuseppe Bossetti, imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio, una anticipatrice sentenza definitiva. Dopo di che uno può chiedersi a cosa servano un processo, una difesa legale, e soprattutto, in prospettiva, una riforma dell’ordinamento giudiziario che contempli la separazione delle carriere insieme alla creazione di Csm separati per giudici e pubblici accusatori e alla sostituzione dell’obbligatorietà dell’azione penale con una meno discrezionale selezione di priorità.

Visto che nessuno o quasi si è stupito dell’argomentazione del giudice di Bergamo, è da supporre che questa sia la prassi, il costume e la regola nelle fasi preliminari di un processo. Dopotutto non è forse questa l’indole italiana, tutta luce o tutta tenebra? (…)”.

E se dinnanzi ad una persona che si dichiara innocente, ed alle forti argomentazioni, sia pure fatte passare in sordina, di giudici, genetisti e criminologi che invitano alla cautela piuttosto che ad un morboso accanimento che potrebbe rivelarsi errato, ciò che si vede è un’ampia fetta dell’opinione pubblica che preferisce arroccarsi dietro il dogma del colpevole per forza maldestramente camuffato con le vesti della “scienza”, pur di non mettere in discussione le proprie convinzioni maturate unicamente sulla scorta di un insano giustizialismo mediatico, non sono scioccata, non sono indignata, e in fondo non sono neppure arrabbiata: sono solo costretta ad aggiungere alla vecchia invettiva ciceroniana (“fin quando, dunque, abuserete della nostra pazienza?”) un accorato “ma quanto sei stato fesso!” dinnanzi al celebre dipinto del nostro Risorgimento che ritrae un patriota che, nell’esalare il suo ultimo respiro sul plotone d’esecuzione, riusciva ancora a gridare “viva l’Italia!”

Alessandra Pilloni

6 pensieri su “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco: tra sindrome di CSI e analfabetismo di ritorno

  1. Giuste considerazioni alle quali non avevo pensato. A nome del gruppo, se lo ritieni opportuno, scrivigli, facendogli i complimenti per le considerazioni

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  2. Ciao Alessandra, ho una domanda…ho letto da qualche parte che il malcapitato Fikri non ha ricevuto nessun risarcimento e non è stato riabilitato in alcun modo, tanto che nessuno gli offre un lavoro. Possibile? In Italia? Quella benpensante che mi costringe a fare i salti mortali per pagare tasse da usura?

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    • Eli, credo che Fikri abbia avuto “solo” 10.000 € di risarcimento. MI sembrano tanti se pensi a quanto avrebbero dovuto avere altri ingiustamente condannati …
      Ti chiedo la cortesia di mandarmi un messaggio su FB, volevo contattatrti. Se tu che hai parlato del ciliegio? Ciao Chiara Rimmaudo

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