Ringraziamo Edoardo Mori per averci concesso di rispondere alla nostra intervista. Per informazioni biografiche potete visitare il suo interessante sito web:
http://www.earmi.it/autore.htm
– Gentilissimo Edoardo Mori, come già anticipato, il nostro blog e il nostro gruppo facebook (https://www.facebook.com/groups/bossettipresuntoinnocente/ ), è nato principalmente per con l’intento di opporsi all’accanimento mediatico operato contro Massimo Bossetti, l’allora indagato e ora imputato per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio. Accanimento che ha poi coinvolto intere famiglie, nonché bambini, e che invece di scemare col tempo, ha visto una escalation a tratti aberrante. Sappiamo che per arrivare alla verità è necessario scandagliare la privacy della persona coinvolta, ma lei considera normale e corretto dal punto legislativo il lavoro dei mass media in questo e in altri casi di cronaca giudiziaria? Qual è secondo lei il confine tra “diritto di cronaca” e “gogna mediatica”?
E. Mori: Faccio una premessa: il nostro sistema è indegno, viola ogni norma sul segreto istruttorio, sul dovere di riservatezza degli uffici pubblici, sulla privacy, sui diritti umani. Purtroppo però questo disordine e il modo con cui vengono condotte le indagini, bisogna dire che talvolta servono anche ad aiutare chi è stato ingiustamente accusato.
In merito al segreto istruttorio ricordo che l’Italia è totalmente inadempiente alle sentenze della corte di giustizia e ad una direttiva europea specifica che trovate qui: http://www.earmi.it/varie/segreto%20istruttorio.html.
Sulla base della normativa vigente è certo che dagli uffici di polizia e dagli uffici giudiziari non dovrebbe uscire una sola parola sul caso su cui essi indagano; se poi il difensore dell’indagato ritiene utile divulgare certe notizie, se ne assume la responsabilità e deve comunque rispettare la privacy di tutti coloro che non sono indagati. Può dire, ad esempio, che l’imputato aveva un’amante, ma non può certo permettersi di fare il nome di questa persona.
Il diritto di cronaca consiste nel diritto del giornalista di acquisire informazioni sul caso e di pubblicarle; in un sistema in cui queste notizie non arrivano direttamente dagli investigatori, è il giornalista che deve svolgere un’attività di tipo investigativo, può sentire chiunque, ma il limite invalicabile è la privacy di coloro che non consentono che venga fatto il proprio nome. Si deroga a questi principi solo in casi in cui la persona interessata abbia già una sua immagine pubblica come politico, artista, eccetera.
In certi Stati il diritto di parlare pubblicamente di un processo è però più ristretto. Ad esempio è vietato diffondere le immagini delle persone che si vengono a trovare nell’aula di udienza. Negli Stati Uniti, ove il processo viene deciso da una giuria, si adottano mezzi adeguati per evitare che i giurati possono essere troppo influenzati dai media.
– Secondo Lei, per quale motivo, negli ultimi anni, le Procure non aprono fascicoli per le puntuali fughe di notizie che portano gli atti delle indagini (compresi di audio o video di intercettazioni in carcere e interrogatori), ancora coperti dal segreto istruttorio, direttamente sulle scrivanie delle redazioni di Tv e giornali? Per caso non è più reato trafugare gli atti e passarli ai media ancor prima di essere nelle mani dei legali degli indagati?
E. Mori: L’unico motivo per cui le Procure non indagano sulle fughe di notizie è che poi dovrebbero imputare se stesse e chi ha investigato. Ad esempio, il sistema delle intercettazioni telefoniche era ben regolato fin dall’inizio dal nuovo Codice di Procedura Penale del 1989 ed esse avrebbero dovuto essere rese note alla difesa solo dopo aver eliminato tutte le parti che non erano attinenti all’accusa o alla difesa dell’imputato. Era un lavoro che avrebbe comportato un notevole impegno e non è mai stato fatto, con violazione di precise norme processuali.
– Cosa ne pensa del video preparato a beneficio dei media, ai quali è stato inviato via e-mail, che mostra decine di riprese in cui appare un furgone chiaro, attribuite tutte al furgone di Bossetti, ben sapendo che, forse, una sola di quelle immagini potrebbe corrispondere al furgone dell’imputato? La legge contempla questo tipo di strategie mediatiche?
E. Mori: La procura della Repubblica deve fare le indagini rispettando il segreto istruttorio e non ha e non deve avere nessuna strategia; il suo compito è di far giustizia nel rispetto delle norme di legge e non certo quello di far vedere quanto sono bravi. La procura non deve curarsi affatto di ciò che viene detto sui giornali e in televisione. Come ho già scritto, è stata una scelta disastrosa quella di mettere a dirigere le indagini dei procuratori che non hanno nessuna esperienza in materia e quella di non evitare che tale compito si potesse utilizzare per protagonismo.
– Cosa pensa della questione banca-dati del Dna? Ne esiste una? Il caso Bossetti ha dei legami con questo?
E. Mori: Non esiste nessuna banca del DNA e non abbiamo i soldi per farla!
– Restando nei limiti di ciò che sappiamo da Tv e giornali, pensa che gli indizi (continuiamo a definirli tali perché a nostro avviso è difficile chiamarli prove) a carico di Bossetti sarebbero sufficienti a giustificare una condanna?
E. Mori: Non seguo mai casi in televisione e sui giornali perché ho imparato che è estremamente difficile decidere non avendo tutte le carte in mano e guai a decidere solo su frammenti di informazione. Spesso sono intervenuto su casi famosi, anticipando quasi sempre l’esito del processo, ma ho sempre discusso le prove senza mai permettermi di dire se l’imputato era davvero colpevole o innocente. Nel caso Bosetti avevo immediatamente anticipato i miei dubbi sul valore della prova del DNA, cosa poi confermata, solo capito male da un perito universitario (da non confondere con i periti delle forze di polizia, non sempre muniti di adeguata preparazione scientifica). E credo di non essermi sbagliato di molto perché tutte le altre indagini sono state svolte proprio per trovare una prova che potesse superare la debolezza della prova del DNA.
Mi pare che ormai la questione si sia ridotta a due sole incognite: la prova del DNA e la prova del furgone, entrambe discutibili e discusse; tutte le altre sono chiacchiere o pettegolezzi che non possono avere nessun valore probatorio. Fate bene a parlare sempre solo di indizi perché nel moderno sistema della prova della colpevolezza, le prove di un tempo (confessione, riconoscimento, chiamata in correità) non hanno più valore autonomo ma devono essere sempre inquadrate e spiegate nel quadro generale degli elementi acquisiti.
– Da ciò che abbiamo letto, sembra che per acquisire una parte di materiale, la difesa di un imputato (quindi lo stesso imputato) debba spendere molti soldi. Questo non crea di per sé una differenza di classe sostanziale? Come fa una persona semplice, di disponibilità modeste, ad affrontare spese legali così esose che gli servirebbero ad avere garantita una difesa equa?
E. Mori: Questo è un problema d’ordine generale che non è soltanto italiano. Indubbiamente il problema esiste, ma non è stata ancora trovata una soluzione adeguata. Come minimo, però, dovrebbe essere stato chiaramente stabilito che l’imputato assolto ha il diritto al risarcimento del danno e quindi anche al rimborso dei costi sostenuti per far riconoscere la propria innocenza.
– In diverse sue interviste, lei ha usato parole molto forti per descrivere il funzionamento della Giustizia, ragion per cui ha deciso di lasciare la toga prima del tempo. Ne riporto un passaggio «Il sistema di polizia, il trattamento dell’imputato e il rapporto fra pubblici ministeri e giudice sono ancora fermi al 1930. Le forze dell’ordine considerano delinquenti tutti gli indagati, i cittadini sono trattati alla stregua di pezze da piedi, spesso gli interrogatori degenerano in violenza. Il Pm gioca a fare il commissario e non si preoccupa di garantire i diritti dell’inquisito. E il Gip pensa che sia suo dovere sostenere l’azione del Pm (fonte: http://www.ilgiornale.it/news/e-giudice-si-tolse-toga-non-sopportavo-pi-l-idiozia-troppi.html ) Lei se n’è andato totalmente rassegnato o pensa sia ancora possibile fare qualcosa? In caso affermativo, che cosa in concreto?
E. Mori: Il testo completo del mio studio sui problemi della giustizia penale lo trovate a questo link http://www.earmi.it/varie/scienze%20forensi.html
non posso che ripetere quello che ho già detto e cioè che non può essere consentito al pubblico ministero, che nel processo è parte come la difesa, di procedere senza nessun controllo e mettere sotto accusa una persona e a trascinarla in un processo con tutti i problemi materiali e morali che ciò comporta. È assolutamente necessario creare un sistema in cui il pubblico ministero indaga come meglio crede e in assoluta segretezza sui casi in cui è necessario indagare; però, prima di poter elevare un’accusa, e quindi compiere un atto che può essere devastante per l’accusato, prima di trasformare le sue indagini in una istruttoria penale, deve presentare le sue prove ad un organo speciale composto da giudici, meglio se non dello stesso ufficio (potrebbe essere individuato nel cosiddetto tribunale della libertà, con alcune migliorie) il quale lo autorizza o meno a procedere. Se non lo autorizza il caso rimane segreto e il pm ha la scelta fra chiudere le sue carte in un cassetto o fare appello, sempre nel rispetto del segreto istruttorio.
Pingback: Intervista a Edoardo Mori, ex Giudice – mazzellaerasmo16
CHE DIRE, HA MESSO SEMPLICEMENTE A NUDO QUANTO MALATO SIA IL SISTEMA GIUDIZIARIO ITALIANO E QUANTO STI SCHIFO DI MEDIA E STAMPA CI VANNO A NOZZE
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E’ anche peggio di come dice lui. E non vedo vie d’uscita, perché l’ italiano medio non è capace di ribellarsi. L’hanno castrato nell’anima.
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