Il de-pestaggio italico

No, no, avete letto bene, non ho sbagliato a scrivere, ho creato un termine che l’Accademia della Crusca probabilmente mi boccerebbe, ma di cui ho bisogno per esprimere ciò che ritengo essere la storia di cui ci siamo occupati, con molte energie, da due anni a questa parte. Fin dal principio, alcuni di noi avevano seguito la vicenda della piccola Yara Gambirasio, raccogliendo anche cronologicamente ogni notizia possibile e immaginabile che usciva di volta in volta su giornali, televisioni, trasmissioni varie. A raccoglierle tutte su un grande tabellone modi commissariato statunitense, ci darebbero probabilmente la medesima sensazione: caos.

La morte di questa ragazzina che aveva tutta la vita davanti, che amava smisuratamente la ginnastica artistica, che in quasi tutte le fotografie a disposizione della stampa aveva il sorriso stampato, resta per me un mistero con la emme maiuscola. O, meglio, dentro di me vivono delle ipotesi, delle idee, che nascono soprattutto dall’osservazione di altri casi di cronaca nera, dove sembra che il tutto e il contrario di tutto sia la regola, dove i luoghi comuni la fanno da padrone e dove una verità – così vicina così lontana – sia occultata da una miopia stratificata.

Il “de-pestaggio” l’ho coniato pensando alla sequenza di eventi che, per un motivo o per l’altro, da questa verità ci ha allontanato. È il pestaggio subìto dal diritto di cronaca trasformato in gossip morboso e vergognoso; dalla giustizia che – a mio avviso – ha operato un accanimento inaudito nei confronti di un uomo che fino a domani sarà e doveva essere un presunto innocente, condannando se stessa a seguire condotte discutibili, anche per aver permesso al giornalismo di essere e dichiararsi fallimentare; dalla vittima, uccisa un’altra volta sulle copertine di giornalacci e programmi televisivi da sbarco.

Tornando alle idee e alle sensazioni, la storia è purtroppo piena di casi in cui gli indagati sono i soliti noti e in un Paese come il nostro, i soliti noti sono quasi sempre persone cosiddette umili. L’umiltà sembra essere sempre confusa con qualcosa di negativo per partito preso, perché in una società che non è cresciuta da un punto di vista civile, il pregiudizio comanda senza soluzione di continuità. Alcuni scienziati – come per esempio l’etologo Frans de Waal -, sostengono che la “bontà” dell’uomo (tra altri animali) sia una condizione naturale, mentre la violenza apparterrebbe maggiormente a una condizione culturale più ‘sviluppata’. Detta così è detta male, ma serve a comprendere che spesso l’essere umano vive di credenze, oserei dire, patologiche.

Lo sapete, io credo nell’innocenza di Massimo Bossetti, penso che non sia stato lui a uccidere la piccola Yara e sono convinta che sia vittima di un abbaglio, di una convinzione nata da una serie di considerazioni errate. Non so chi sia il vero o i veri colpevole/i, ma credo di poter tirare le somme, sperando che così abbia fatto anche la Corte di Bergamo, dopo aver ascoltato tutti gli attori del processo. Un cellulare che aggancia una cella simile a quella agganciata da Yara, in un orario non proprio compatibile con la sua uscita dal centro sportivo. Un furgone non identificato con certezza, ritratto in immagini e video che sono state oggetto di grande polemica. Un movente assolutamente discutibile. Un DNA che corrisponderebbe nel nucleo, ma non nel mitocondrio.

Di fronte a tali e tante incertezze voglio sperare che chi decide per Bossetti stia decidendo per tutti, ricordando quanto sarà importante far passare certi messaggi anziché altri, non solo per ciò che riguarda la tutela del singolo, ma anche della collettività. Condannare all’ergastolo senza prove perlomeno attendibili, è contribuire a quella pericolosa delusione che nella storia ha portato sempre a far ingrassare la sfiducia nella democrazia e ha spianato la strada alle peggiori dittature.

Le scelte coraggiose restituiscono sempre risultati etici importanti e sono un esempio per le generazioni giovani.

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